Venerdì 19 Maggio, alle 18.30 Biblios Cafè incontra Maria Concetta Civello. Ci parlerà del suo libro “Il doppio Svantaggio – la sfida dell’accoglienza e dell’esclusività” . Con noi il relatore prof. Vincenzo Filetti.
L’emergenza immigrazione pone numerose e delicate questioni. Una di queste è senz’altro la preparazione adeguata ai bisogni di chi porta con sé non solo il peso dello sradicamento e della povertà, ma anche quello della disabilità. La pedagogia interculturale, di cui in questo saggio si fa portavoce Maria Concetta Civello, ha provato e prova a fornire risposte agli operatori, in particolare scolastici, che ogni giorno si confrontano con culture diverse, operarando per l’inclusività: e ciò significa non solo rispettare l’altro, indirizzarlo nella scelta degli obiettivi da raggiungere, comprendere come metterlo nelle condizioni più idonee per poter realizzare il proprio progetto di vita, ma anche rendere migliore l’intera società, che dall’esclusione del “diverso”, dell’“anormale”, dell’ “estraneo” riceve danni tali da determinare l’involuzione e il regresso.
“Un popolo misura la sua civiltà dalla capacità di elargire uguali diritti a tutte le persone: più la persona è rispettata e accettata nella sua diversità più viene praticata l’universalità dei diritti di cittadinanza e quindi la possibilità dell’inclusione in una società democratica. Ma ancor prima di formulare nuove leggi che diano ma che soprattutto assicurino diritti, bisogna lavorare sulle coscienze umane, essere stimolati ad apprendere, conoscere e capire un’altra realtà diversa dalla propria, fino ad amarla, rinnovando radicalmente il fulcro della morale.”
Maria Concetta Civello è nata e vive a Rosolini (SR) e ha trascorso la sua infanzia e i primi anni dell’adolescenza a Borgo Ticino (NO). Laureata in Scienze dell’Educazione e della Formazione, è stata impiegata presso l’USP di Rosolini dove ha svolto mansioni di accoglienza e informazione. Vincitrice di diversi concorsi a cattedra, nel 2007 ha lasciato l’impiego amministrativo per dedicarsi all’insegnamento nella scuola primaria.
PREFAZIONE di Luca Raimondi
La ricerca di Maria Concetta Civello segue la storia della diversità a partire dai processi culturali, antropologici e linguistici che hanno cercato adeguamenti nel tempo (pensiamo a quanti termini sono stati via via utilizzati per definire la stessa condizione: handicap, disabilità, diversabilità, etc.), passando quindi in rassegna i repertori morali dell’umanità e dei loro immaginari sociali, fino al sempre provvisorio, ma intanto lieto, fine: l’idea preponderante è infatti oggi quello della diversità come valore e non come esclusione. Quest’idea è alla base della cosiddetta “pedagogia interculturale”, nel cui ambito di studi questo saggio può essere facilmente inquadrato. Una “pedagogia dell’essere” – secondo un’interessante definizione di Luigi Secco – al centro della quale è posto il soggetto nella propria interezza, a prescindere dalla cultura di provenienza. Per quanto certamente importante per la strutturazione dell’individuo, la cultura non porta con sé responsabilità specifiche. “La persona viene prima dell’individuo” scrive Secco in “Pedagogia interculturale: concetti e problemi”. Ed è alle persone e alla loro realtà che giunge rapidamente la Civello: il suo è un libro umanissimo, emotivamente partecipato e coinvolgente, che poco sembra concedere alla freddezza burocratica delle catalogazioni, dei numeri, delle statistiche, insomma, della “scienza”. Per quanto la pedagogia già dalla metà del XIX secolo cominciò a riconoscere una propria identità scientifica (tant’è che già da anni si è imposta la definizione di “scienza dell’educazione”), la pedagogia è, e rimane, una “scienza umana” in cui la sua componente predittiva, proiettata al futuro, all’essere che sarà (lo scopo è infatti portare l’essere a un certo livello), non può e non deve disgiungersi dalla piena comprensione e accettazione dell’essere per quello che è stato e che è.
A tante belle definizioni come quella suddetta di Luigi Secco e a tante elaborate teorie non corrisponde però sempre una pratica adeguata a risolvere i gravi stati di disagio derivanti dall’incontro-scontro tra culture. Tra il dire e il fare, è davvero il caso di dire, c’è quindi di mezzo il mare, nello specifico il Mediterraneo e i barconi di migranti che porta con sé. L’emergenza sociale, i contrasti ideologici, religiosi, politici, interferiscono con il dialogo costruttivo e con la solidarietà tra culture ed etnie. Il pregiudizio, l’incapacità di generare empatia, l’ignoranza, partoriscono una dolorosa pioggia acida di sentimenti di separazione, esclusione, distacco. E il tutto raddoppia la sua portata allorquando si parla (e non se ne parla abbastanza) degli immigrati disabili, “pesi morti” per qualunque economia.
Qual è attualmente la nostra disponibilità all’accoglienza? Gli immigrati sono per noi soltanto numeri. Nella migliore delle ipotesi, persone da salvaguardare nei loro bisogni primari. Esiste attualmente una nostra reale disponibilità a instaurare verso di loro empatia, entrare dentro i meccanismi psicologici delle loro difficoltà? Quando la Civello analizza le difficoltà di un bambino che vive le mappe mentali e affettive dei diversi attori del sistema familiare modificato, cosa che ha ovviamente un impatto molto forte sul vissuto stesso del bambino disabile che accompagna i genitori in questa avventura umana, ecco, ma quanti finora sono riusciti davvero a entrare in empatia con le difficoltà di questa gente e dei loro bambini? Non riusciamo a relativizzare la nostra identità, ma ce ne facciamo forti, rifiutando le immagini scomode e problematiche che ci inviano gli Altri, tanto più se hanno un surplus di diversità. Quello proposto dalla Civello è soprattutto un allarme rivolto al mondo dell’istruzione, a cui l’autrice appartiene: “Non ci sono né strumenti didattici specifici pensati per questi bambini, né figure su misura per loro. In più la scuola vive un momento di grossa difficoltà. Le risorse necessarie potrebbero essere: più ore di sostegno, maggiore presenza dei mediatori culturali, ma anche semplificazioni burocratiche sulla diagnosi e sulla certificazione di disabilità; oppure un altro modo di affrontare tutto questo potrebbe essere quello di collocare il problema all’interno della logica dei bisogni educativi speciali (BES). Siamo davanti a una “richiesta di aiuto speciale” che non rientra in una etichetta diagnostica e quindi non riconosciuta legislativamente.”
Il lavoro della Civello vuole essere solo un’introduzione al problema, o meglio, un chiaro invito ad affrontarlo con tutti i nostri mezzi scientifici, filosofici, logici ma anche pratici. Ed è soprattutto un invito alla tolleranza, alla fratellanza e all’accoglienza, rafforzato dalle storie vere poste in appendice.
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